La fama della Folgore è legata alla seconda battaglia di El Alamein che iniziò il 23 ottobre 1942. La 185^ Divisione Folgore è quella che passò alla storia come sinonimo di coraggio. Venne costituita nel 1942 e comprendeva il 186° Reggimento Paracadutisti (ex 2° Rgt.), il 5°, 6° e 7° Battaglione, il 187° Reggimento Paracadutisti (ex 3° Rgt.) con il 2°, 4°, 9° e 10° Battaglione ed il 185° Reggimento Artiglieri Paracadutisti con il 1°, 2° e 3° Gruppo Artiglieria.

            La posizione della Divisione Folgore sul fronte di El Alamein era piuttosto distaccata rispetto alla costa Mediterranea dove si trovava la stazione ferroviaria abbandonata di El Alamein, a circa 100 Km da Alessandria, considerando il fronte longitudinale la Folgore si trovava sulla depressione di Munassib sulla destra guardando il fronte, avendo le spalle alla Libia.

            La Folgore copriva un fronte che si estendeva per quindici chilometri a circa sessanta chilometri dal Mar Mediterraneo a ridosso dalla depressione di Qattara e vedeva inizialmente contrapposti quindici reparti italotedeschi a dodici Alleati sebbene di consistenza e qualità diversa. Nell’area di Munassib i reparti della Folgore erano costituiti da circa 4.500 uomini dei quali 3.500 Paracadutisti, 80 pezzi d’artiglieria, 5 carri, qualche veicolo da trasporto, poche munizioni, scarsi viveri ed equipaggiamenti per contrastare 50.000 uomini, 400 pezzi d’artiglieria, 350 carri, 250 blindati, scorte e munizionamento illimitato.

            La Folgore resistette per tredici giorni fino al 4 Novembre senza cedere neanche un metro, la battaglia su tutto il fronte si concluse l’11 novembre di circa cinquemila uomini alla fine ne restarono trecentoquattro.

            In tutto nella battaglia di El Alamein morirono circa 13.500 Inglesi, 17.000 Italiani, 9.000 Tedeschi. All’inizio le forze in campo erano così composte: l’Asse aveva 80.000 uomini dei quali 27.000 tedeschi, 53.000 italiani, 200 carri e 345 aerei, gli Inglesi avevano 200.000 uomini, 1.000 carri e 1.000 aerei.

            Se nel 1942 avessi avuto vent’anni e fossi stato un Sottotenente della Folgore sarei andato in Africa?

            A parte il fatto che non credo che ci potesse essere molta scelta durante un conflitto, facendo parte di un reparto operativo altamente specializzato. In ogni caso nell’estate del ’42 l’Italia aveva la sensazione che presto avrebbe sfondato il fronte Africano e le forze dell’asse sarebbero arrivate ad Alessandria d’Egitto ed oltre fino a Suez nell’immediato futuro.

            Penso di conoscere il sentimento che si prova quando sei chiamato a muoverti per andare verso un’area operativa. Il ritmo del quotidiano viene spezzato, ti viene detto di prepararti, sai che dovrai fare una serie di cose ma te ne viene rivelata una sola alla volta, come questa si approssima sale l’eccitazione, al tempo stesso il timore e l’insicurezza vengono messi alla prova, s’innesca un meccanismo di sfida e di cautela nel cercare di non fare errori, pianificando ed organizzando ogni cosa perchè sai che non puoi tornare indietro dove  e quando vorresti, ti stai proiettando avanti e puoi solo procedere, ogni lancio d’addestramento te lo ha insegnato.

            Dei 3.500 Paracadutisti presenti ad El Alamein una manciata è sopravvissuta, durante i 13 giorni di scontri giorno dopo giorno le giovani vite sarebbero state sacrificate nel deserto che avrebbe velocemente assorbito il sangue dei nostri connazionali, di quei ragazzi che una volta lì li avresti considerati come fratelli, alla sera se il nemico avesse fatto una pausa ti saresti guardato intorno per controllare chi manca, chi non c’è più. Avresti ripensato al tuo compagno sdraiato sotto il carro per farlo saltare, ripercorrendo le fasi della giornata, la sepoltura di un amico, lo sguardo consapevole e disperato di chi di lì a poco sarebbe morto, nella paura che forse domani sarebbe toccato a te.

            Lo scontro molto ravvicinato col nemico ti ha costretto a guardare in faccia l’avversario, il suo viso percorso dal dolore, uno sguardo che si spegne mentre l’osservi senza poter simpatizzare, anzi, controlli se devi “finirlo”, mentre ti guardi intorno se puoi sparare ad altri avversari, hai aspettato che finisse il fuoco preparatorio del nemico all’attacco nella posizione di combattimento, senza riparo, lasciando che i nemici avanzassero fin sopra e talvolta oltre le proprie posizioni per poi fare un contrassalto, incrociando il fuoco con le armi automatiche sorprendendo e facendo smarrire gli assaltatori che per due lunghissime settimane non riuscirono ad avere la meglio sulla Folgore la quale resistette senza indietreggiare neanche di un metro dalle proprie posizioni.

            Quando il 4 novembre 1942 ci fu l’ordine di ritirarsi, la Folgore abbandonò le posizioni lasciando le proprie linee intatte.

            La nostra epoca divora i sentimenti, le informazioni sommergono quelle precedenti sottraendo la capacità di riflettere, di pensare, di meditare, d’immedesimarsi negli altri, e così comprenderli.

            Ma proviamo ad immaginare il sentimento, la paura, il battito del cuore di un giovane paracadutista che si trova in un fossato buio dal quale non può sporgere la testa per osservare cosa sta succedendo, dopo essere scampato alle granate di alleggerimento, il suolo vibra, il rumore dei cingoli si fa più vicino e sempre più forte, seguito dalla fanteria con i fucili e le baionette, dovrà attendere che gli passino sopra prima di poter reagire, poi dovrà raccogliere tutte le forze rimaste dalla mancanza di acqua, cibo e dalla dissenteria, per contrattaccare e respingere il nemico, un nemico con le retrovie a cento chilometri mentre quelle italiane sono a mille, un soldato inglese ucciso il giorno prima aveva in tasca cioccolata, questa era la differenza negli approvvigionamenti.

            Non si capisce perchè gli italiani da sempre devono lottare con il sistema burocratico per ottenere ciò che negli altri paesi europei si riceve normalmente. La sconfitta ad El Alamein è stata causata principalmente dalla superficialità, presunzione ed indolenza, sicuramente del comando Tedesco in Germania, ma altrettanto sicura, dato che il comando delle operazioni in Africa era Italiano, c’è la responsabilità degli Italiani che come solitamente fanno, si vantano di ciò che non hanno ottenuto, infatti i comandanti pensavano che Alessandria fosse già in mano dell’Asse, con un fare prematuro che ha trascurato la sostanza dell’impegno nel provvedere i rifornimenti a tempo debito ed in quantità sufficiente.

            Rommel aveva profondo rispetto e stima per i nostri soldati, quanto al tempo stesso disprezzava i burocrati ed i quadri di comando Italiani i quali si preoccupavano dei propri privilegi e comodità piuttosto che soddisfare i bisogni della truppa al fronte, Rommel viveva con le truppe, mangiava le stesse cose e dormiva nelle stesse condizioni. I tempi per noi Italiani a quanto pare non sono cambiati, ancora oggi il modo di pensare dissociato, lento, presuntuoso ed egoista è quello che prevale nei rapporti fra i quadri dirigenti della Pubblica Amministrazione e chi si trova sul campo a difendere  e sviluppare le attività produttive.

            La BBC l’11 novembre 1942 alla fine della battaglia commentò: “I resti della divisione Folgore hanno resistito ogni oltre limite delle possibilità umane”.

            Per rappresentare l’importanza che questa battaglia ebbe nella guerra bisogna citare le parole di Churchill: “Prima di Alamein non ci fu alcuna vittoria, dopo Alamein non ci fu più alcuna disfatta”.

            Queste riflessioni, questi racconti sulle gesta eroiche dei nostri camerati della Folgore potrebbero indurre a pensare che possa esistere un concetto di guerra bella o giusta, sicuramente quella di Hitler è stata una guerra sbagliata e le valutazioni di Mussolini al suo riguardo pure. E’ con grande amarezza che rifletto su quanti giovani siano morti combattendo, sacrificando la propria vita essendo alleati ad un regime che ha realizzato i Lager ed i forni crematori per uccidere milioni di uomini, donne, bambini, una vera vergogna per il genere umano. C’è un solo vincitore fra le migliaia di soldati caduti ad El Alamein, Italiani, Inglesi, Tedeschi, Francesi, Neozelandesi, Australiani, Sud Africani o Greci: La Morte.

            Purtroppo mi rendo conto che è difficile portare le nuove generazioni a riflettere su cosa è stato l’Olocausto, sulla tragedia che è stata la seconda guerra mondiale, quanto dolore e sofferenza ha portato in troppe famiglie nel mondo, la superficialità sembra caratterizzare il modo di pensare di queste generazioni che prendono tutto per scontato, sono talmente abituati a non sapersi guadagnare quanto posseggono che vivono eternamente insoddisfatti e l’insoddisfazione genera insofferenza ed instabilità, che genera ribellione e voglia di sovvertire il sistema, ecco, ciò che bisogna fare, applicarsi a far capire alle nuove generazioni l’essenza della vita, affinché nella superficialità dell’insofferenza non maturi l’odio ed il disprezzo per il prossimo come avvenne in Germania negli anni ’30 ed ora c’è il rischio che avvenga nel mondo intero, poiché l’umanità non è capace di vivere con dei desideri insoddisfatti.

            La battaglia di El Alamein provocò la morte di 13.500 Inglesi, 17.000 Italiani, 9.000 Tedeschi, 30.000 prigionieri dell’Asse e 70.000 soldati sfollati in ritirata per 3.400 chilometri nel deserto fino in Tunisia.

Al termine della battaglia quattro divisioni tedesche ed otto italiane non esistevano più.

            I morti, dispersi o caduti prigionieri nel 1942 ad El Alamein se fossero stati osservati quattro anni prima non avrebbero avuto la minima idea di ciò che sarebbe toccato loro.

            Anche oggi non sappiamo se il malcostume, la sostituzione dei rapporti umani con la gestione digitale delle informazioni, la corruzione d’animo rispetto ai valori essenziali, la presunzione dei burocrati europei ed italiani che hanno rigettato i principi Cristiani, la superficialità dilagante, fra quattro anni avrà generato una conseguenza analoga a quella vissuta nel deserto africano durante la seconda guerra mondiale.

            Oggi viviamo con i nostri privilegi nella presunzione che la nostra indifferenza provochi dei danni solo al prossimo e mai a noi, e questo vale per l’ecologia, per le questioni finanziarie, per la politica, l’educazione dei figli a casa, nelle scuole e nello sport.

            Se c’è una cosa che possiamo imparare dalla guerra ed in particolare dalla battaglia di El Alamein è che non bisogna prendere nulla per scontato. La libertà ed i beni materiali di cui godiamo non devono essere un’occasione per alimentare la superficialità ed il culto del godimento ad ogni costo, ma riflettere sulla nostra storia ci offre un’opportunità da prendere al volo per comprendere quanto grande sia il nostro privilegio di essere Italiani, che vivono in un paese sostanzialmente libero, democratico e ricco, sebbene non sia immune dagli effetti delle pressioni lobbistiche, nazionali ed internazionali. Nella sostanza comunque godiamo di molti privilegi e  garanzie per i quali in molti altri stati del mondo la gente muore per ottenerli e non li ottiene.